Bentornato, CPH:LAB! Dopo aver seguito da vicino l’edizione 2022-2023, non potevamo *non* parlare di nuovo del programma di sviluppo creativo di CPH:DOX, che “incoraggia l’assunzione di rischi creativi, celebra i talenti grezzi, facilita la collaborazione al di là dei confini e dei settori e sostiene i visionari a spingersi oltre i i limiti esistenti del documentario”.
Con la nuova edizione di CPH:DOX InterActive, curata da Mark Atkin e che prenderà il via il prossimo 13 marzo, scopriremo di più sui contenuti e sulle idee alla base delle nove opere immersive selezionate per l’edizione 2023-2024 del LAB.
Per ora, abbiamo incontrato la squadra che ha lavorato al programma del laboratorio negli ultimi mesi, per sapere di più su come è stato costruito, sulle opportunità che offre agli artisti selezionati e sull’approccio alla creazione, al talento e all’innovazione che da sempre caratterizza il CPH:DOX.
Ecco cosa ci ha raccontato Maïwenn Blunat, manager del CPH:LAB e della sezione InterActive.
La nuova edizione di un LAB che ancora una volta funge da collegamento tra menti creative
Maïwenn: Per l’edizione 2024 abbiamo utilizzato la stessa struttura dell’anno scorso: i progetti saranno presentati al pubblico il giorno del Symposium e durante un evento dedicato specificamente ai prototipi sviluppati nel corso del LAB. Nei giorni successivi, i team e i potenziali collaboratori si incontreranno per una conversazione più intima nella quale approfondire l’essenza stessa dei progetti. Proprio per questo uno dei nostri goal è di avvicinare il più possibile il LAB al Festival. Abbiamo già cercato di trovare sinergie tra gli artisti presenti a CPH:DOX e quelli che partecipano a CPH:LAB: vogliamo farli incontrare, creare “scintille” tra tutte queste menti creative.
Credo che questa sia comunque la nostra prospettiva generale, che si riflette in qualche modo anche nei nove progetti selezionati per il workshop. L’idea è di avere una coorte abbastanza eterogenea, ma composta da persone che in qualche modo si completano a vicenda. A ottobre si è tenuto il primo workshop residenziale: gli artisti hanno passato una settimana a Copenaghen dove hanno incontrato i nostri mentori e lavorato su diversi argomenti, fra cui il worldbuilding, il pubblico, come costruire aspetti specifici dei loro progetti. Non si tratta quindi di un semplice momento di ideazione, ma di una vera e propria fase di sviluppo in cui porre solide basi al lavoro che hanno in mente. In questo modo, dopo le sessioni online del LAB e dopo il festival, avranno delle solide fondamenta su cui far crescere e capitalizzare il loro progetto.
Allo stesso tempo, un altro elemento chiave del primo workshop residenziale è l’interazione fra i partecipanti, soprattutto considerando la loro diversità dei profili. Per questo motivo, abbiamo incoraggiato gli incontri peer-to-peer durante il workshop, che continueranno online fino al festival in modo che, oltre a parlare con i mentori, i team possano anche confrontarsi fra loro e valutare reciprocamente i loro progressi, dove stanno andando, quali sono i loro punti deboli di quello a cui stanno lavorando e cosa invece c’è di buono.
È da tenere presente poi che tutti i nostri partecipanti hanno un’esperienza diversa in settori diversi, quindi possono dare feedback preziosi a quanti non sono specializzati in quella medesima area. Questo è anche il motivo per cui spesso puntiamo a far tornare i partecipanti al LAB degli anni precedenti sotto forma di mentori – una cosa che è successa anche nel 2024. E sempre nel 2024 abbiamo avuto anche mentori di edizioni precedenti che sono tornati come partecipanti. Insomma, crediamo davvero che essere un partecipante al LAB non faccia di quella persona un artista che deve ancora emergere, ma un individuo collaborativo e curioso che potrebbe sì avere meno esperienza in un determinato settore, ma porta con sé una conoscenza specifica diversa da quella che possono avere gli altri, e proprio per questo offre contributo fondamentale al tavolo della discussione!
Evolversi con l’evoluzione della narrazione
Maïwenn: Questo approccio globale di cui ho parlato riguarda i team e i partecipanti, ma anche il festival stesso, e i diversi eventi immersivi che ne fanno parte. Vogliamo creare qualcosa di più grande e contribuire all’industria in generale, esplorare diverse forme di storytelling e chiederci davvero dove stiamo andando, se ha senso andare in quella direzione, quali saranno i prossimi passi.
Crediamo davvero che essere un partecipante al LAB non faccia di quella persona un artista che deve ancora emergere, ma un individuo collaborativo e curioso che potrebbe sì avere meno esperienza in un determinato settore, ma porta con sé una conoscenza specifica diversa da quella che possono avere gli altri,
Maïwenn Blunat
Per esempio, ci concentriamo molto sui giovani e cerchiamo di rivolgerci ad un nuovo pubblico. Dobbiamo chiederci come farlo, in che modo consumano i media immersivi, cosa li attrae del documentario. Perché in fin dei conti è questo che siamo: un festival del documentario. Lo scopo della nostra offerta immersiva e interattiva è comunque di rimanere nell’ambito del documentario, ma anche di capire dove lo possono spingere i media immersivi. Non ha senso rimanere sempre chiusi nella stessa scatola.
Fino a qualche anno fa avevamo un cinema VR, ad esempio, con belle sedie e buoni visori, poi ce lo siamo lasciati alle spalle e abbiamo continuato ad evolverci nel corso degli anni. Credo che questo faccia parte della natura stessa dei festival: non dare le cose per scontate, soprattutto in queste aree tecnologiche dove tutto si evolve così velocemente! Abbiamo molte idee anche in ambito di produzione e distribuzione, sul modo in cui vogliamo presentare le opere e gli eventi, su come gestire gli spazi e le strutture, sul laboratorio, sul festival nel suo complesso e su come renderlo più orientato ai media e più contemporaneo all’era digitale.
La struttura del CPH:LAB
Maïwenn: Possiamo dividere il laboratorio in tre fasi. La prima dura una settimana e si svolge a Copenaghen, che tutti i partecipanti e i mentori raggiungono proprio fisicamente. Poi da novembre a febbraio troviamo nuovi mentori per le sessioni che si svolgono online. I mentori della prima fase sono esperti in senso più generale, perché devono parlare a tutti i team. Cambiano a ogni sezione, in modo che i nostri partecipanti possano ricevere feedback diversi e valutare anche il contrasto fra i punti di vista che ricevono.
Poi, nella seconda parte del LAB, assegniamo ad ogni gruppo dei mentori individuali che si rifanno maggiormente all’ambito specifico del progetto che quel team sta sviluppando, in modo che possano confrontarsi più direttamente con qualcuno che sia esperto di quell’area e possa aiutarli nella loro crescita in quel settore. Se il loro progetto è più teatrale, cercheremo di trovare qualcuno che abbia più esperienza in quell’ambito.
Un esempio riguarda un lavoro sulla Groenlandia e le popolazioni indigene che è stato sviluppato durante il LAB: Mark (a/n Atkin, curatore del programma Inter:Active e Head of Studies del CPH:LAB) ha ritenuto importante trovare un mentore con un background indigeno, in modo che potesse meglio comprendere il progetto e offrire una guida più adeguata, considerando l’eco che questo atteggiamento avrebbe avuto per il lavoro che il team stava sviluppando. Insomma, cerchiamo di trovare un mentore che corrisponda il più possibile alle esigenze dei partecipanti e poi iniziamo le sessioni online che, dopo la nostra introduzione, le équipe gestiscono in modo indipendente e flessibile- potendo sempre contare sulla nostra mediazione.
Ogni due settimane abbiamo anche delle sessioni peer-to-peer, delle breakout room dove le persone si incontrano per fare brainstorming sui loro progetti. Lì noi ci proponiamo come guide, offrendo suggerimenti, ad esempio, su come affrontare il confronto con gli altri team, ma poi lasciamo autonomia nella gestione dell’incontro e del flusso di idee. Organizziamo tutto questo lasciando ovviamente ai team la possibilità di riprogrammare gli incontri nel caso in cui le agende non coincidano.
Vogliamo creare qualcosa di più grande e contribuire all’industria in generale, esplorare diverse forme di storytelling e chiederci davvero dove stiamo andando, se ha senso andare in quella direzione, quali saranno i prossimi passi.
– Maïwenn Blunat
Incontri di persona, incontri online
Maïwenn: La presenza fisica della prima settimana di workshop rimane la parte più significativa: quest’anno alcuni membri dello stesso team si sono incontrati fisicamente per la prima volta solo a Copenhagen! Fino ad allora si erano visti solamente online, pur vivendo nella stessa città!
Indubbiamente il workshop è un momento in cui possono finalmente concentrarsi completamente sui loro progetti, pensare a cose che prima non avevano avuto il tempo di discutere perché erano presi dal lavoro che devono seguire il resto del tempo. Anche per questo, per quanto l’idea del progetto arrivi al LAB già in parte formata, il confronto tra partecipanti e tra membri dello stesso team a volte porta a cambiamenti radicali. Quindi il workshop è sicuramente un momento positivo, in cui le persone si ritrovano quasi come in una bolla e possono dedicarsi solo a quello per qualche giorno.
Il vantaggio degli incontri online è naturalmente che sono un po’ più flessibili e adattabili ai loro impegni. C’è comunque la consapevolezza che il progetto dovrà essere presentato al festival, nel corso del Symposium, e che quindi c’è una scadenza da rispettare. Questo è sicuramente un elemento importante che spinge i team a impegnarsi anche quando si incontrano soltanto virtualmente.
A questo proposito, già nelle prime fasi del LAB i partecipanti devono affrontare un soft pitch tra esperti della scena di Copenaghen – qualcosa di semplice, nulla in confronto a quello del festival, ma è già una prima scadenza che ci aiuta ad intuire come i team si approcciano alla presentazione pubblica (chi è molto stressato, chi la vive in modo rilassato, ecc.) e che quest’anno abbiamo supportato con un seminario incentrato maggiormente sugli aspetti di presentazione del loro lavoro. I giorni del festival sono molto intensi e in quel contesto non c’è molto spazio da dedicare alla presentazione, quindi ci piace giocare d’anticipo, per essere sicuri di fornire loro tutto ciò di cui hanno bisogno.
Sui 9 progetti immersivi del CPH:LAB 2024
Maïwenn: Le candidature per il LAB possono essere presentate a partire da maggio. In seguito, noi del CPH:LAB, insieme al direttore creativo, esaminiamo le candidature ricevute e facciamo anche un po’ di scouting per assicurarci di avere una certa varietà nei lavori che invitiamo.
Su questo aspetto collaboriamo anche con partner internazionali. La Onassis ONX Studio di New York è uno di questi, a cui attingiamo per i progetti. La nostra partnership non comporta alcun obbligo di selezione, però, il che ci dà grande libertà ma anche un bel po’ di materiale da valutare. La selezione finale è di nove lavori e quest’anno abbiamo la fortuna di includere tre eccellenti progetti danesi. Qualcosa che ci rende particolarmente orgogliosi perché, sebbene la selezione dipenda strettamente dalla qualità e quindi non possa essere ripetuta ogni anno, vorremmo diventare un luogo in cui presentare opere di origine danese e, a un livello più ampio, un punto di incontro durante l’anno per le diverse aziende del territorio che operano nel campo delle tecnologie immersive. È un obiettivo che stiamo cercando di raggiungere. In questo modo il CPH:LAB potrebbe rafforzare l’ecosistema danese all’interno del Paese, ma anche in Europa e nel mondo.
Un altro aspetto che non viene spesso discusso quando si parla di workshop è l’importanza di una buona sinergia tra i diversi partecipanti. In breve, è fondamentale che i partecipanti siano in grado di fare gioco di squadra, e questa è una cosa che non sappiamo con certezza finché non arrivano a Copenaghen. Faranno scintille o si incarteranno? Penso che sia davvero una bella sfida, vedere come in una settimana nello stesso “universo parallelo” si condividano lotte, esterne e interne, e si creino connessioni. A mio avviso, è importante pensare anche a questo aspetto per creare interesse nel pubblico giovane.
Guardando alla selezione di quest’anno, alcuni dei progetti immersivi trattano aspetti storici o toccano il tema dell’identità, ma lo fanno in modo piuttosto contemporaneo. L’identità è infatti al centro della discussione in molti modi: identità come background, contestualizzata nella storia di uno specifico Paese, identità di genere. L’importanza di riconnettersi a se stessi in modi diversi è evidenziata in diversi lavori e può avvenire attraverso la natura, attraversoil passato o la famiglia o la propria storia personale. Abbiamo alcuni progetti che fanno eco a questo aspetto e che utilizzano molti elementi personali per trasmetterlo in modo più forte. La sensazione è che molte opere, in effetti, mostrino forte questa componente personale e per questo motivo ancora di più sono in grado di emozionare.
The presence of artificial intelligence
Maïwenn: Alcuni progetti lavorano con l’intelligenza artificiale, ma ce n’è uno in cui questo argomento è al centro. Last Evolution di Petr Salaba, partendo dagli studi sull’evoluzione, riflette su ciò che l’IA può fare o, più in generale, sui pregiudizi legati all’IA. È un argomento difficile che ha richiesto molto dal team. Cercare di renderlo più comprensibile per tutti i potenziali utenti è l’obiettivo principale, ma anche la difficoltà più grande per questo tipo di progetti, che spesso hanno un approccio molto tecnico o molto intellettuale. Da questo punto di vista gli incontri del CPH:LAB si sono rivelati molto utili.
The role of a festival and a LAB in the distribution context
Per i progetti più immersivi ci chiediamo spesso come presentarli, esporli, offrire loro uno spazio per essere visti […] Questa riflessione è centrale per noi in questo momento: cerchiamo proprio di capire il ruolo che occupiamo e la direzione in cui dovremmo muoverci per fornire effettivo supporto ai nostri team anche dal punto di vista della distribuzione.
Maïwenn Blunat
Maïwenn: Un festival e un laboratorio come il nostro hanno molto da offrire in termini di come trovare partner per la produzione e, cosa molto importante, per la distribuzione. Ovviamente la nostra esperienza è incentrata sui documentari tradizionali. Per i progetti più immersivi ci chiediamo dunque spesso come presentarli, esporli, offrire loro uno spazio per essere visti, ma soprattutto come sostenere la loro distribuzione, che segue circuiti completamente diversi da quelli del classico documentario. A chi rivolgersi per la distribuzione? Quale modello vogliono seguire i nostri partecipanti? Le possibilità sono tante, anche per quanto riguarda il modo e il luogo in cui esporre il loro progetto dopo il nostro evento. Questa riflessione è centrale per noi in questo momento: cerchiamo proprio di capire il ruolo che occupiamo e la direzione in cui dovremmo muoverci per fornire effettivo supporto ai nostri team anche dal punto di vista della distribuzione.
È vero che possiamo fare arte per il gusto di farla e che ognuno, quando sviluppa un progetto, ha un obiettivo diverso. Ma tutti, credo, vogliono essere visti, anche solo per amore dell’arte; è un aspetto che non si può eliminare dall’equazione, è importante concentrarsi su di esso. Tutto ritorna al trovare il proprio pubblico… e magari a trovare un nuovo pubblico! Anche per questo abbiamo deciso di concludere il LAB, dopo il Symposium e i colloqui individuali, con una tavola rotonda a cui abbiamo invitato i nostri partecipanti, i moderatori, eccetera: sarà un luogo di discussione, i cui temi stiamo definendo in questo momento.
La strada continua: i progetti dopo il CPH:LAB
Maïwenn: Al termine del LAB cerchiamo di ottenere un feedback specifico attraverso un sondaggio che proponiamo ai nostri partecipanti, ai nostri mentori e alle persone che invitiamo, per assicurarci di non tralasciare qualcosa in quello che facciamo. E’ importantissimo per noi che il LAB offra davvero il massimo che può offrire a tutti coloro che ne sono coinvolti! Allo stesso tempo, cerchiamo di seguire il più possibile il processo di produzione dei progetti presentati nel corso dei vari CPH:LAB. Come sta procedendo la produzione e la post-produzione del progetto? Quando debutterà e dove? Ha ottenuto ulteriori finanziamenti? Sono informazioni di prima mano che dobbiamo tenere sotto controllo anche noi per assicurarci che il lavoro che svolgiamo sia valido e completo.
Vedere che un’opera iniziata nel nostro laboratorio ha avuto successo non potrebbe renderci più felici! E così a volte chiudiamo il cerchio nel corso dell’edizione successiva di CPH:DOX invitando gli artisti e il lavoro nato durante il workshop nella nostra line-up immersiva. L’anno scorso abbiamo ospitato Lauren Moffat, che aveva partecipato al workshop dell’anno precedente. Vedremo quest’anno! Niente spoiler per ora…
Recuperete i nostri articoli sul CPH:LAB 2022-2023:
CPH:Lab 2023: ZEDNA, UNSTABLE EVIDENCE, SLIPSTREAMING (part 1)
CPH:Lab 2023: COLLATERAL ECHOES VR, THE FOREST THAT BREATHES US, DIPLOMATIC REBEL (part 2)
CPH:Lab 2023: NËPP NËPPËL, GHOST GENES, BABEL (part 3)
Per sapere di più sulla nuova edizione e sui progetti selezionati, visitate il sito web di CPH:DOX e rimanete sintonizzati con noi… XRMust tornerà a parlare di ciò che sta accadendo a Copenaghen molto presto…
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