Si è conclusa la scorsa settimana la mostra COLORED, l’esperienza immersiva di Pierre-Alain Giraud ospitata al MEET – Centro di Cultura Digitale di Milano e inaugurata il 3 febbraio.
Un altro grande evento, che rimarca il successo di questa struttura, unica in Italia, nata con l’obiettivo di “ridurre il digital divide italiano e sostenere la maturazione di una consapevolezza nuova rispetto alla tecnologia come risorsa per la creatività delle persone e il benessere dell’intera società“.
Abbiamo incontrato Maria Grazia Mattei, presidente del MEET e curatrice artistica del loro programma immersivo, per farci raccontare la sua storia e quella del centro da lei creato e scoprire qualcosa di più sulle scelte che hanno reso questa struttura un esempio di venue immersiva che ha attirato l’attenzione a livello internazionale.
MEET: un punto di incontro di traiettorie innovative
MARIA GRAZIA MATTEI – MEET, il nostro centro internazionale per la cultura digitale, nasce attorno al tema dell’immersività, il fulcro concettuale attorno al quale ho sviluppato questo spazio fisico e di riflessione. Non dunque un contenitore dove mostrare opere d’arte digitalizzate, ma un luogo dedicato all’immersività culturale, digitale e narrativa nei suoi vari aspetti e nelle sue varie modalità.
Ho cominciato a bazzicare il mondo digitale agli inizi degli anni Ottanta, quindi ho potuto seguire da vicino tutta l’evoluzione tecnologica e di linguaggio che ha accompagnato gli ultimi quarant’anni. Mi definisco una “ricercatrice sul campo”: all’epoca c’erano già dei festival in Italia, ma ho iniziato subito a girare il mondo, iniziando da Ars Electronica, a Linz, nel 1988, e poi seguendo il SIGGRAPH e l’Imagina, organizzato dall’Institut National de l’Audiovisuel (INA) di Parigi, per più di vent’anni.
Volevo scoprire nuove potenzialità espressive e comunicative, nonché artistiche, perché l’arte per me è da ritrovare nella forza creativa prima che nel mercato stesso dell’arte.
Ho cercato spunti, idee, realizzazioni, opere, artisti che permettessero di tracciare un nuovo cammino su questi temi. Volevo approfondire l’argomento seguendo i vari eventi e i grandi festival internazionali e cercando poi di portare quanto scoprivo in Italia, un paese che all’epoca era un passo indietro rispetto al resto del mondo.
A riguardo, ho lavorato anche con la Biennale Arte e con la Biennale Cinema di Venezia e ho portato il primo virtual set nel nostro territorio. Tutto ciò per dire che ho una sensibilità allenata al linguaggio digitale in generale e l’idea, fin da subito, è stata quella di trovare un modo di mettere in connessione tutte queste scoperte e questi mondi che avevo incontrato.
Il MEET è diventato dunque un po’ questo. Con i miei colleghi analizziamo quelle che possono essere le traiettorie internazionali, i temi più forti e da lì definiamo anche la nostra programmazione, sempre con un obiettivo al centro: quello di trasferire la conoscenza del mondo nuovo che va disegnandosi e sta prendendo forma.
Non ci interessa discutere specificatamente di VR, XR, AR. Piuttosto vogliamo mostrare nuovi modi di costruire storie e di coinvolgere il pubblico. Parliamo proprio di digital experience come modalità di approccio alla narrazione e all’immersività.
Maria Grazia Mattei
Quindi da una parte presentiamo queste direzioni di sviluppo, dall’altra apriamo alla riflessione, in un impianto che dà spazio, certo, anche a delle realtà italiane, ma all’interno di un contesto internazionale, che è oggi assolutamente fondamentale.
Sviluppo di MEET come media immersivo
M. G. M. Nel 2014 ho parlato per la prima volta del MEET con la Fondazione Cariplo e fin da subito è stata chiara l’idea che fosse necessario creare in Italia una struttura che lavorasse costantemente per accelerare la conoscenza e il processo di cambiamento che stava impattando anche il nostro paese già da tempo: un cambiamento, però, non soltanto tecnologico ma prima di tutto culturale.
Nel 2014 eravamo in pochissimi ad occuparci di questi temi e il digital divide culturale era ampissimo. Volevo uno spazio che fosse coerente con i suoi contenuti. Non mi interessava un bel museo, con quadri digitali alle pareti e dei monitor per vederli. Con Carlo Ratti, che ha progettato gli spazi, abbiamo pensato da subito, dunque, ad un luogo che fosse esso stesso un media immersivo, un luogo dove mettere in moto i sensi e l’esperienzialità.
Volevo uno spazio che da solo ti portasse all’interno di questa nuova atmosfera legata ad un tema, quello della cultura digitale, ancora da dibattere, da metabolizzare, ma fortemente connesso a come la società si sta evolvendo, alla direzione che stiamo prendendo. Il concept di questi luoghi immersivi è di quel periodo ma poi, tra Covid, ristrutturazione e altri fattori, siamo riusciti concretamente ad avviare il MEET nel 2011, collocandolo, fra l’altro, in un palazzo dei primi del Novecento che abbiamo “forzato” a trasformarsi in un dispositivo comunicativo contemporaneo.
Un luogo che fa memoria del passato ma rivolto al futuro
M. G. M. – Il MEET dunque è luogo di esperienza: esperienza di contenuti, di idee, di incontri con le persone… da qui il nome, MEET,in italiano incontro. Ma il MEET è anche luogo di storia, con un cuore forte: il nostro archivio, che abbiamo chiamato “Le Radici del Nuovo”. Al suo interno c’è tutto il materiale che ho raccolto nei miei anni di esplorazione e di ricerca e che reputo fondamentale per far comprendere che il tema della contemporaneità va guardato in relazione alla sua evoluzione, ad un passato, ad una storia. Recentemente abbiamo ottenuto il riconoscimento di Museo regionale ed è importantissimo per me aprire sempre di più questo servizio pubblico ai giovani, alle scuole, a chi studia, proprio per vedere come la storia si interfaccia con quanto c’è di nuovo.
Accanto all’archivio, abbiamo tutta una serie di dispositivi che mirano a ricreare immersività di contenuti attorno all’utente. Al MEET invito artisti che possano provocare l’immaginario delle persone, che cerchino con le loro opere di aprire la nostra mente alla riflessione del cambiamento in atto.
Già quando entri dalla porta, cominci a trovarti in mezzo a contenuti, anche antichi, che nessuno ha mai visto. Poi ti sposti piano piano nella sala immersiva, con proiezioni ovunque, su tutti i muri. Abbiamo anche il programma di produzioni in virtual reality, ma come dicevo, non ci interessa discutere specificatamente di VR, XR, AR. Piuttosto vogliamo mostrare nuovi modi di costruire storie e di coinvolgere il pubblico. Parliamo proprio di digital experience come modalità di approccio alla narrazione e all’immersività. Sono concetti di cui hanno discusso artisti importantissimi, come Jeffrey Shaw, il padre dell’interattività, che abbiamo avuto modo di ospitare proprio al MEET nell’ambito dei nostri incontri dal vivo “Meet the Media Guru”.
Gli artisti, d’altronde, hanno questa forza, questa potenza creativa che è in grado davvero di tracciare delle nuove strade, di riconoscere in una nuova tecnologia dei possibili usi che neanche coloro che hanno pensato a quella tecnologia avevano intuito. Proprio per questo la lente d’osservazione tramite cui ho sempre guardato e compreso il mondo è quella della ricerca artistica. Negli anni 90 ho incontrato persone come Jeffrey, come Maurice Benayoun e tantissime altre che già a quei tempi seguivano traiettorie narrative differenti: per loro il cinema bidimensionale era già superato. Ma penso anche ad un nostro gruppo di ricerca, lo Studio Azzurro, che già dagli anni 80 aveva guardato oltre lo schermo narrativo bidimensionale. Sono tante esperienze che hanno negli anni potuto godere dell’avanzare delle tecnologie – il miglioramento dei visori, dei proiettori, la motion capture, ecc. – e che con il tempo hanno portato alla costruzione di un ambiente che sempre più coinvolge l’immersività sensoriale e l’interazione.
Gli artisti, d’altronde, hanno questa forza, questa potenza creativa che è in grado davvero di tracciare delle nuove strade, di riconoscere in una nuova tecnologia dei possibili usi che neanche coloro che hanno pensato a quella tecnologia avevano intuito.
Maria Grazia Mattei
Pubblico fra effetto “Wow” e comprensione di nuove forme narrative
M. G. M. – Negli anni ho potuto vedere anche un aumento di interesse da parte del pubblico – prima del pubblico formato da esperti, poi anche dei curiosi – attorno a quelle che erano le novità comunicative ed espressive generate dalle nuove tecnologie digitali. Nonostante questo credo che il pubblico non ne abbia davvero recepito fino in fondo le potenzialità. L’effetto “wow” è indubbiamente presente: basta pensare a quanti hanno visitato la mostra immersiva su Van Gogh, che rappresenta il primo livello di accesso di massa a questo universo digitale immersivo. Ma il rapporto del pubblico con le nuove dimensioni espressive artistiche digitali non è ancora sviluppato pienamente.
Si è comunque fatta spazio l’idea che, anche a livello di grande pubblico, di un pubblico più vasto, non c’è soltanto l’esperienza della sala cinematografica: per quanto anch’essa rappresenti uno spazio immersivo e narrativo, si inizia a comprendere che l’immersività può coinvolgere tutto il tuo corpo e tutti i tuoi sensi, che vengono attivati da un’esperienza che poi non dimentichi più.
Se a questa attivazione generale abbini storie come Noire (Colored) (a/n recuperate l’intervista di XRMust a Pierre-Alain Giraud di Novaya a questo link), con una forza emotiva impressionante, ecco che questo tipo di esperienze possono davvero creare un corto circuito fra corpo, cervello ed esperienza stessa che determina degli effettivi cambiamenti nella testa delle persone. E’ una cosa che vedo in prima persona qui al MEET: quando gli utenti entrano a vedere un’opera così, senza sapere bene cosa sarà, non soltanto escono stupiti, ma ne escono conquistati.
Riflettendo sull’offerta di contenuti immersivi
M. G. M. – Purtroppo non ci sono tanti spazi che offrono questo tipo di esperienza. Alcuni propongono eventi sul tema, ma offrendo prodotti più vicini al mondo del marketing e della comunicazione che esperienze autoriali e narrative nuove. E non è solamente una questione di soldi. È più una questione di intuizioni su come fare le cose e su dove trovare i contenuti.
La vera scommessa, io credo, è proprio questa: posso anche avere lo spazio del MEET, ma ho difficoltà a reperire contenuti che siano qualcosa di più di arte digitalizzata da fruire in maniera passiva e multimediale e che rappresentino la vera creatività digitale immersiva.
Quando vado a vedere la Mostra immersiva su Klimt o su Van Gogh sono sicuramente dentro una storia, immerso fisicamente in essa, sopra, sotto, da ogni lato. Chi costruisce questi spettacoli la fa con grande abilità professionale. Quello che però manca è quel valore aggiunto creativo ed artistico che invece cerchiamo di proporre nel nostro spazio immersivo, offrendo un’experience che va oltre la multimedialità proiettata su un muro e ti fa fare un salto quantico in schemi comunicativi completamente diversi. Ma, come dicevo, contenuti così non sono poi tanto diffusi, non c’è un catalogo, non c’è una distribuzione vera e propria e anche se degli spazi immersivi esistono (penso all’Atelier des Lumières di Parigi), l’effetto wow per opere così svanisce molto in fretta.
Se a questa attivazione generale abbini storie come Noire (Colored), con una forza emotiva impressionante, ecco che questo tipo di esperienze possono davvero creare un corto circuito fra corpo, cervello ed esperienza stessa che determina degli effettivi cambiamenti nella testa delle persone
Maria Grazia Mattei
Se spingessimo invece la ricerca nella direzione di nuove forme narrative, immersive e anche interattive verrebbero fuori delle cose straordinarie, che non invecchierebbero subito.
Penso ad esempio all’opera Renaissance Dreams che Refik Anadol ha portato al Meet nel 2020 e che ora è divenuta opera permanente della nostra sala immersiva: ha ancora una forza emotiva unica! Refik ha lavorato con gli algoritmi GAN (Generative Adversarial Network), quindi intelligenza artificiale della prima epoca, però la sua creazione si appoggia su un impianto concettuale unico, su una sensibilità che, nel cogliere la memoria di un’arte passata, quella del Rinascimento, così fortemente collegata con la scienza, è stata capace di trasformarla in un linguaggio nuovo che promette nuovi sogni di Rinascimento.
Lo spettatore entra in una dimensione che è storia, ma al tempo stesso è contemporanea e guarda al futuro. E questo affresco io lo chiamo la mia Cappella Sistina, una Cappella Sistina, dinamica, bellissima, che da quando è arrivata da noi guardo ogni giorno anche solamente per un minuto.
Renaissance Dreams è un’opera d’arte che resiste al tempo e ha uno storytelling creato appositamente per essere immersivo, coerente con il mezzo che usa e in grado di portare le persone a vivere davvero la storia che racconta.
Esplorare i contenuti prima delle tecnologie: la fluidità del MEET
Non ho uno spazio fisico fisso, ma essendo il MEET immersivo per sua natura, anche lo spazio viene modellato con coerenza ai principi della cultura digitale e quindi in modo assolutamente fluido.
Maria Grazia Mattei
M. G. M. – Il nostro programma, di cui sono curatrice artistica, è continuativo ed esplorativo: tocchiamo tutte le tecnologie ma le esploriamo in termini di contenuti e non di componente tecnologica.
Prossimamente partirà la Mostra Atmospheric Forest di Rasa Smitee Raitis Smits, adattata ad una visione con i visori: stiamo riorganizzando il nostro VR Corner per portarlo al piano terra del MEET dove svilupperemo una riflessione sul tema della natura e della tecnologia. Ciò è possibile perché il nostro VR Corner non è una saletta fissa in cui visionare produzioni in virtual reality, ma è composto da tre cubi mobili: sedendosi su di essi è possibile fare l’esperienza con il visore, ma il vantaggio è che possiamo agevolmente spostarli a seconda a seconda della rassegna in corso nell’area del MEET che maggiormente si adatta all’evento e all’esigenza che abbiamo. Possiamo metterli nella lounge, vicino al teatro, al piano di sopra.
Non ho uno spazio fisico fisso, ma essendo il MEET immersivo per sua natura, anche lo spazio viene modellato con coerenza ai principi della cultura digitale e quindi in modo assolutamente fluido. Da questo punto di vista il MEET è divenuto anche un po’ un modello e recentemente mi hanno invitato al NUMIX LAB di Bruxelles proprio per presentarne il concept.
Sempre nell’ottica di uno spazio in costante evoluzione e connesso con il contenuto, mi sono battuta per far sì che la nostra saletta immersiva fosse anche un luogo di accoglienza di artisti e di incontri dal vivo. Ancora, Gilles Jobin è stato da noi con Cosmogony (2022) e abbiamo organizzato l’evento nell’area del teatro, dove c’è uno schermo gigantesco, in una sorta di happening telematico. Quindi anche il teatro non è solamente un teatro, come il VR corner non è solamente una saletta di virtual reality. Quello che resta è il contenuto e il contesto.
Il successo di Noire (Colored) al MEET
M. G. M. – Noire di Pierre-Alain Giraud è stata presentata per la prima volta al MEET il 3 febbraio e l’evento si è chiuso ieri con un grande successo di pubblico. Da un mese a questa parte, ogni giorno, ogni fascia oraria è sempre stata prenotata! Le persone che hanno visitato il MEET sono rimaste molto colpite non soltanto dalla storia di quest’opera, ma proprio dall’esperienza stessa. Si tratta infatti di un lavoro con una potente narrazione immersiva e creata da un team assolutamente eccezionale.
La difficoltà maggiore che abbiamo incontrato nella pianificazione dell’evento è stata di tipo economico/tecnologico. Il team dell’esperienza è arrivato da noi con numerosi strumenti per allestirla e la nostra sala immersiva per un mese è stata dedicata solo a questo. Inoltre, si tratta di un’opera che può essere visitata da non più di dieci persone alla volta.
Insomma, tutto questo implica costi costosi per la produzione ma anche per la distribuzione… ma sono determinata e voglio assolutamente proporre produzioni artistiche come Noire. Alla fine credo davvero che siamo sulla strada giusta e MEET continuerà ad offrire al suo pubblico esperienze originali, digitali e immersive di questo genere.
Rimane però importante trovare un modo per rendere sostenibili scelte di questo genere e secondo me oggi è questo il vero problema da affrontare: su queste nuove forme espressive non ci sono ancora sufficienti investimenti da parte di enti, di associazioni, del governo, sia per chi deve produrre che per chi deve ospitarle.
Per mostrare un film ho bisogno di un proiettore e sarà sempre quello. Ma con le tecnologie immersive necessito di un parterre tecnologico non indifferente, che va sempre aggiornato, e di un numero di persone che lavorano alla messa in scena molto elevato.
Fortunatamente ci sono posti come i festival o come il PHI Centre di Montréal che rendono la fruizione possibile… ma comunque permangono esperienze quasi uniche, che è difficile replicare in altri contesti. È necessario partire dalla creazione di un solido network, migliorarlo e rafforzarlo, così da trovare la giusta spinta e le giuste direzioni per rendere più realizzabili operazioni come questa.
Se avete perso l’occasione di vedere NOIRE (che ha registrato il tutto esaurito), non temete! MEET ha in programma numerosi eventi da qui ai prossimi mesi.
Citiamo per il momento i più prossimi: il nuovo percorso espositivo in collaborazione con Le Cube Garges dal titolo Forever Young: The Dorian Gray Syndrome ospitata al MEET da giovedì 14 marzo fino a domenica 2 giugno 2024. Ancora, mercoledì 3 aprile, alle ore 18.30, avremo la possibilità di vedere 21-22 CHINA e 21-22 USA del regista Thierry Loa, che avevamo incontrato al GIFF di Ginevra lo scorso novembre.
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